Sono orfana, ma probabilmente è normale alla mia età. Per i numeri e la statistica appartengo a quel gruppo, ormai numeroso, che ha superato la metà della propria vita e il cui tempo da vivere si presuppone più esiguo di quello già vissuto. Sono una sopravvissuta allo scorrere degli anni, alle malattie, agli abusi, al dolore. Sono una sopravvissuta alle aspettative, alle delusioni, alle recriminazioni, al rancore. Mi ha salvato sempre e solo l’amore. L’amore dei miei e per i miei, per le amicizie, la natura, la vita. L’amore per un compagno. Mi ha salvato la curiosità. Mi hanno donato fiato il voler sperimentare, il voler conoscere, il voler capire, il non dare mai per scontato nulla. Nel lavoro come nella vita.
Ma ora sono stanca, sento affievolirsi la curiosità per il mondo, le persone, il bello. Ciò mi spaventa, perché mi era estraneo. Finora. Un’entusiasta, questo sono sempre stata. E sono una di quelle a cui si dice: “Sembri ancora una ragazzina”. Talora mi ferisce. “Non sono mai diventata donna?”, mi chiedo. “Forse, è perché non ho mai avuto figli?”
Allora il pensiero va a mia madre che ha avuto quattro figli. Anche lei aveva, già in là negli anni, quell’ostinata espressione di bambina gioiosa. Quindi, immagino che in quel “ragazzina” che mi viene attestato, ci sia un po’ del suo candore, della sua capacità di sognare comunque, di colorare caparbiamente anche gli angoli più bui. Mi dico che quel “ragazzina” non è un insulto, un neo, un mettere il dito nella piaga di una presunta immaturità, ma il riconoscimento di una qualità.
Poi continuo a camminare e non ne sono più sicura.
Sono stanca e vorrei per un po’ chiudere gli occhi, farmi portare via dalle onde, dal vento, dal mare, dal suono del mondo.
Sono stanca ma grata. Sono stanca, ma continuo a cantare.
© Maria Letizia Del Zompo
Da “Rubo parole al cielo” (Nulla die 2019)
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